mercoledì 8 dicembre 2010

Ogni giorno è il 5 Novembre

Il fondatore di Wikileaks arrestato a Londra. 
Lui scrive: «Non sparate al messaggero che rivela verità scomode».  
Contro la censura parte la guerra dei pirati sul web.
Se fosse una guerra tradizionale un volantino come quello che circola in rete, nero, con lo stemma dei pirati e l’invito a colpire duramente i traditori sarebbe stato lanciato da qualche aereo in volo. Se si trattasse di una guerra del secolo scorso, ci sarebbero già stati i primi bombardamenti, i primi assalti e le prime vittime. Ma la guerra al tempo di internet è una cosa diversa. Ci sono i volantini, i bombardamenti, gli assalti e le vittime. C’è il linguaggio militare che gli stessi protagonisti di queste nuove battaglie usano. Cambia il campo di battaglia, le spiagge e le città e le giungle non sono più il set dei combattimenti.

Adesso tutto si svolge sul web. È il caso della «infowar » che si sta trascinando con se il cilcone Wikileaks. L’ultimo episodio di questa guerra risale a ieri. Gli Anonymous, un gruppo di hackers schierati contro ogni tipo di censura, ha attaccato i siti Paypal e PostFinance, rei di aver voltato le spalle al deus ex machina di Wikileaks, Julian Assange. Paypal era uno dei sistema attraverso cui Assange aveva previsto di ricevere le donazioni per il suo gruppo di lavoro, mentre PostFinance era la banca svizzera depositaria di uno dei suoi conti. Entrambi, nel primo pomeriggio di ieri sono «collassati».

LA SCELTA
Sul proprio blog, PayPal aveva motivato così la scelta di chiudere l’account di WL: «PayPal ha bloccato definitivamente l’account utilizzato da Wikileaks a causa della violazione dei termini d’uso di PayPal, che stabiliscono che il nostro servizio per i pagamenti non può essere utilizzato per alcuna attività che incentiva, promuove, facilita o induce terzi ad agire contro la legge. Il proprietario del conto è stato avvisato della nostra decisione». Parole che, dopo l’arresto di Assange, hanno fatto scattare il piano degli Anonymous. «Combatteremo contro chiunque cerchi di censurare Wikileaks, incluse le compagnie multimilionarie come Paypal. La più grande battaglia informatica è iniziata»», hanno scritto nel volantino fatto circolare ieri in rete.

Un volantino nero, con in sottofondo un veliero sulla cui vela è disegnato un teschio a forma di musicassetta. Strana coincidenza, anche l’avvocato di Assange, ieri, si è presentato a Scotland Yard con una cravatta piena di teschi. Quelli a PayPal e PostFinance sono solo alcuni degli attacchi previsti dagli Anonymous nell’Operation Payback. Operazione che ha fatto anche altre vittime dall’inizio dell’anno, come per esempio la Warner Bros, la Motion Picture Association of America, lo United States Copyright Office e una decina di altri ancora.

LA PIATTAFORMA
Nati in difesa di Torrent, la piattaforma per scaricare musica e film gratuitamente, gli Anonimouscolpisconotutti coloro che ritengono responsabili di censurare la libera circolazione del pensiero e delle informazioni. Nel loro linguaggio piratesco, promettono altre azioni di guerriglia. «Tutti i siti che hanno ceduto alle pressioni dei governi sono possibili target», ha dichiarato alla Bbc un attivista che si è fa chiamare Coldblood.

Mentre a noi, Devilworks ha detto che tra i prossimi a essere attaccati c’è anche il sito della Mastercard. Gli stessi Anonymous, tuttavia, non sono al sicuro. Il loro sito, infatti, dopo gli attacchi a PayPal e Post Finance è stato vittima di attacchi. E ironia della sorte, sono stati colpiti con lo stesso strumento con cui hanno fatto «collassare» i loro target, ovvero con «denial-of-service attacks ».

I DDoS sono degli attacchi che avvengono attraverso la moltiplicazione di false richieste di accesso a un sito in modo da intasarlo e renderlo irraggiungibile. «Le compagnie si accorgono dell’incremento del traffico sui loro siti e l’incremento del traffico sui loro siti significa un incremento dei costi di gestione, o il crash». Attacchi del genere ha subito durante tutta la scorsa settimana Wikileaks. Una guerriglia parallela ai problemi che intanto minacciavano l’intera operazione. Tra mercoledì e giovedì, per esempio, Assange si è trovato a fare i conti con il diniego di Amazon di offrire al suo gruppo i server per ospitare il suo sito.

Decisione presa dopo le forti pressioni ricevute dal Senato statunitense. Secca la replica dei responsabili WL: «Se Amazon ha tutti questi problemi con il PrimoEmendamento, dovrebbe smetterla di vendere libri»». Assange e soci trovano comunque degli altri server, ma a questo punto è EveryDNS.net, la società che fornisce il dominio Wikileaks. org, a mettere i bastoni tra le ruote, «spegnendolo», e lasciando il sito off line per un paio d’ore. L’azienda ha motivato il gesto sostenendo che i ripetuti attacchi informatici attirati da WL rischiavano di rendere instabili le altre centinaia di migliaia di indirizzi web gestiti. Motivazioni tecniche o no, attorno ad Assange e alla sua operazione si sta facendo terra bruciata, e la lista delle azioni di guerriglia e delle conseguenti «vittime» che in questi giorni si registrano su internet è destinata ad allungarsi.  

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