domenica 3 luglio 2011

Anche l’Italia, come la Cina, censura Internet

Tutti sanno che in Cina vige una durissima (ma tolleratissima) dittatura. Quasi tutti sanno che in Cina Internet è censurato perché il regime non vuole che si diffonda il pensiero libero e critico. Ma la Cina rischia di esserci un po’ troppo vicina se, il 6 luglio prossimo, l’Autorità Garante per le Comunicazioni (AGCOM) varerà la nuova regolamentazione per la tutela del diritto d’autore in Rete. Facciamo un esempio per capire la portata del cambiamento. Francesco, un militante di sinistra, ha un blog in cui parla di politica e critica il governo Berlusconi. A sostegno delle sue tesi, Francesco mette ogni tanto nei suoi post alcuni spezzoni video, tratti dai telegiornali Mediaset, accostando le dichiarazioni del Presidente del Consiglio di oggi con quelle di una settimana o un mese prima, per dimostrare che egli ha, ad esempio, mentito su alcuni scandali.
Secondo Mediaset, Francesco sta violando il suo copyright. L’azienda di Berlusconi a quel punto può ricorrere ad un giudice, il quale valuterà, legge alla mano, se si tratti di espressione del diritto di critica, oppure del tentativo di sfruttare il lavoro altrui senza riconoscere un giusto compenso. Francesco avrà tutte le garanzie di un normale procedimento giudiziario, avrà tutto il tempo di ribattere alle accuse, portare prove a sua discolpa, ma soprattutto sarà innocente fino a prova contraria.
Dopo il 6 luglio non funzionerà più così. Francesco avrà solo 5 giorni di tempo per discolparsi. A giudicarlo non saranno dei magistrati indipendenti, ma un organismo amministrativo, la stessa AGCOM, di nomina politica, senza tutte le garanzie che ho esposto in precedenza e soprattutto con l’acqua alla gola. Se Francesco si rifiuterà di ottemperare alla rimozione del contenuto, invocando il suo diritto di critica, l’AGCOM potrà obbligare – ripeto, obbligare – l’azienda che fa hosting del suo blog a rimuovere il video. Se l’azienda è straniera e quindi non sottoposta al controllo di AGCOM, la stessa Autorità potrà obbligare – ripeto, obbligare – tutti i provider Internet italiani a inibire l’accesso all’intero blog di Francesco oppure a ispezionare i pacchetti di dati provenienti da esso per filtrare quelli relativi al video in questione, in modo che nessun italiano possa vederlo. Un intervento censorio talmente invasivo che nessuno prima si era mai azzardato a proporre.
E’ in gioco insomma la libertà della Rete come la conosciamo ora. E in pochi giorni Internet si è mobilitata per difendersi: oltre 130 mila adesione alla petizione di Avaaz nel momento in cui scriviamo, altre migliaia a quella promossa da Adiconsum, Agorà digitale, Assoconsumo, Assoprovider, Altroconsumo e Studio legale Sarzana. Un numero enorme di post su Facebook, Twitter e altri social network. In fondo all’articolo trovate i link per firmare ed entrare a far parte della mobilitazione.
L’idea che il diritto d’autore vada usato come un manganello contro la critica non è nuova: è quello che Mediaset fa ogni giorno, spulciando Youtube alla ricerca di filmati come quelli di Francesco e riuscendo a volte a farli rimuovere, grazie anche alla causa miliardaria promossa dalle tv di Berlusconi contro Google. Ma qui siamo di fronte ad un salto di qualità senza precedenti che permette di attaccare ogni singolo utente, persino se usa un proprio spazio web e non si affida a contenitori e social network, ai quali persino tecnicamente viene tolta ogni possibilità di fare da filtro contro richieste pretestuose, come spesso avviene. E’ l’idea stessa di Internet che viene messa in discussione, trasformando i provider in poliziotti e secondini (provider che infatti si sono ribellati) e mettendo delle palizzate a certi luoghi telematici.
Come dicevo il diritto d’autore è solo una scusa. E però è importante rimarcare che la sua tutela, pur importante, deve adeguarsi ai nuovi modi di produrre la conoscenza che la Rete ha creato: fondato sull’orizzontalità, sul remix, sulla costruzione di nuovo sapere partendo da mattoncini che già esistono. Internet ha portato tutti ad essere produttori di sapere, ha sconfitto la vecchia idea di una trasmissione dall’alto verso il basso della conoscenza: basti pensare a Wikipedia che rende tutti redattori della più grande enciclopedia del mondo; o a Youtube che trasforma ragazzi ventenni in registi e produttori di film e serie di successo (anche qui in Italia); o persino il motore di ricerca Google che classifica i risultati in base a quanti link puntano ad un certo sito, rendendo la Rete stessa responsabile del suo funzionamento.
E’ di questo, in fondo, che hanno paura coloro che solo rimasti nell’era dell’analogico e vogliono perpetuarne le divisioni così ormai obsolete. Hanno paura della Rete come luogo e strumento di produzione del senso comune, dove il bambino che grida che il Re è nudo può avere abbastanza forza da farsi sentire da milioni di persone. Si sono accorti che il loro ruolo di selezionatori delle notizie, delle conoscenze, delle visioni, è ormai superfluo in Rete.
Ma – è questo il punto – se cambiano i modi di produzione, non si può lasciare allo sfollagente telematico della “polizia” di una Autority e di leggi concepite per un mondo che non c’è più, il compito di ipotecare presente e futuro. Non è la prima volta che le tecnologie cambiano la storia dell’uomo, ma ogni volta c’è stato progresso solo quando il vecchio è morto e ha lasciato il passo al nuovo.
Il diritto d’autore va tutelato, ma ci sono mezzi rispettosi dei diritti, mezzi dolci, che non trasformano un giusto riconoscimento in una gabbia dove rinchiudere la creatività e la critica.
E’ da qui che dobbiamo ripartire. La sinistra può essere quella forza che, se sarà capace di abbandonare davvero gli schemi del passato, può promuovere quella grande riforma del copyright in senso aperto e libertario che la Rete ha già prefigurato da tempo con il suo stesso agire.
Guido Iodice
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