Grace For Drowning |
Per Steven Wilson la decade passata è stata
senz'altro memorabile: con l'uscita di "Insurgentes", il nostro folletto
inglese aveva finalmente trovato uno sbocco creativo per tutte le sue
ispirazioni e aspirazioni, la conclusione della ricerca di un'agognata
maturità musicale iniziata con i Porcupine Tree e
diramatasi nel corso degli anni in più generi e direzioni, sotto forma
dei più disparati progetti. Pochi artisti possono vantare una tale
visione a 360° della musica, acquisita per merito di una notevole
cultura su tale campo, ed ovviamente di una passione più forte che mai
per il proprio lavoro.
Ora siamo nel 2011, ed abbiamo tra le mani un album nuovo di zecca.
In questa seconda opera a suo nome il nostro porcospino affina la sua capacità di catalizzare una grande mole di idee e concezioni differenti della musica in un unico lavoro.
Il risultato è semplicemente mastodontico.
"Grace For Drowning", suddiviso in tre diverse parti dai nomi evocativi ("Deform to Form a Star", "Like Dust I Have Cleared from my Eye" e "The Map", presente solo nella edizione Deluxe del CD), costituisce per Wilson una vera enciclopedia di influenze e stili; un
calderone di suoni elettronici, progressive rock dilatato e toccante
pop d'autore, oltre che dinamiche e cerebrali partiture jazz in perfetto
stile King Crimson.
Come sempre, la produzione è
eccellente e la qualità del suono è altissima: d'altronde, quando si
parla dell'artista in questione non ci possono essere dubbi al riguardo.
Eccezionale
la prova del folto "cast" di musicisti chiamati ad occuparsi della
strumentazione (flautisti, sassofonisti, tastieristi..), fra cui
compaiono anche nomi altisonanti quali Tony Levin al basso, il "guitar-hero" Steve Hackett, il tastierista dei Dream Theater Jordan Rudess e naturalmente il geniale Robert Fripp.
All'ascolto
tutto, pur nella sua ricchezza di sonorità molto differenti tra loro,
appare coeso e strettamente legato ad un concetto di fondo che permea
l'intera opera: la dualità dell'animo umano (tema da sempre caro a
Steven), sospeso tra cupo caos e celestiali atmosfere, disordine
interiore e pace dei sensi.
Ogni traccia svolge una propria funzionalità all'interno del lavoro, dalla lunga ed intensa "Raider II"
(che si dipana inquietante tra flauti, claustrofobici riffs di chitarra
elettrica, arpeggi acustici, cori e quant'altro) all'ossessivo
pianoforte di "Remainder The Black Dog", passando per i toni terrificanti di "Index", la beatitudine di "Like Dust I Have Cleared From My Eye", la dolcezza espansa di "Deform to Form a Star" e via discorrendo...
Difficile
trarre un giudizio sul lavoro basandosi sui singoli brani, in quanto un
ascolto superficiale non basterà per comprendere l'ambizioso e
variegato progetto di Wilson.
L'artista inglese ci offre un lavoro davvero impressionante, probabilmente uno dei più belli del 2011:
immancabile per chi è alla ricerca di un vero e proprio viaggio sonoro
dalle mille sfumature, realizzato con maestria e con un profondo amore
per la musica in ogni sua forma.
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