martedì 13 maggio 2025

“Il Tamburo di Nicea”


 

C’era una volta, in un tempo che poteva essere ieri o domani, una Terra che tremava, stanca dei passi pesanti dell’uomo e dei suoi fuochi senza misura. Nei Campi Flegrei, là dove i vulcani dormono come draghi, la terra iniziò a parlare: non con parole, ma con scosse, vapori e crepe nei muri. Gli uomini corsero fuori da scuole e templi, i treni si fermarono come bestie spaventate, e qualcuno cominciò a chiedersi se non fosse un messaggio.

Fu allora che si udì un tamburo antico, suonare da un luogo che pochi ricordavano: Nicea, la città dove un tempo si erano incontrati gli spiriti della fede per costruire un sogno comune. Ma il suono non era soltanto un richiamo spirituale: era un invito a tutte le creature, un segnale di convocazione.

Il Tamburo era stato risvegliato da Leone XIV, un vecchio saggio vestito di bianco, che parlava poco ma guardava con occhi profondi. Aveva ereditato un libro dimenticato: “Il Codice della Concordia”, scritto con inchiostro di luce dai viandanti del tempo. Quel codice conteneva sette simboli, uno per ogni crisi del mondo, e ognuno chiedeva un’azione.

Il primo simbolo era il Sole diviso. L’energia, un tempo donata agli uomini per vivere in armonia con la Terra, era diventata merce e veleno. Ma ora, il Sole stesso, offeso ma speranzoso, offriva la sua mano: “Chi costruirà case che respirano luce? Chi piantumerà tetti di fotoni e cuori di silicio?”

Il secondo simbolo era l’Ascia rovesciata. La guerra tra Est e Ovest, tra aquile e orsi, falchi e colombe, si avvicinava al suo momento decisivo. Si parlava di un incontro impossibile: tre re guerrieri (uno dei quali si diceva venisse dal paese dell’oro e dei tweet) avrebbero forse parlato in Turchia, terra di crocevia e profezie. Ma nessuno osava sperare davvero.

Il terzo simbolo era la Fiamma dei Mille, e ardeva nelle fabbriche chiuse, nei licenziamenti, nei cuori dei lavoratori dimenticati. In un paese orientale, però, qualcuno aveva acceso una candela: “Pasti amorevoli” per chi non poteva comprare più tempo. E il mondo si domandò: “È forse lì il principio del ritorno alla comunità?”

Il quarto simbolo era la Scheda Vuota. In un regno chiamato Democrazia, pochi credevano ancora nella magia del voto. Eppure, cinque domande fluttuavano nell’aria, come piume. “Vuoi restare uomo o diventare macchina?” “Vuoi vendere l’acqua o custodirla?” “Vuoi muri o ponti?” Solo chi avrebbe risposto sinceramente, avrebbe potuto vedere il prossimo simbolo.

Il quinto simbolo era la Rosa della Concordia. Per sbocciare, aveva bisogno di due mani: una dell’Est e una dell’Ovest. Ma le mani tremavano, diffidavano, ancora impugnando lame invisibili. Allora il Tamburo parlò ancora, questa volta nel silenzio, e le mani cominciarono a tendersi. Poco a poco.

Il sesto simbolo era la Mappa delle Ombre, una pergamena che mostrava i luoghi della sofferenza: Gaza, il Libano, la Cina delle prigioni invisibili. Leone XIV la guardava ogni sera, pregando che le ombre si trasformassero in volti, che i muri si dissolvessero nei canti.

Il settimo e ultimo simbolo era l’Albero che Cammina. Si racconta che un giorno, quando l’umanità avrà ascoltato tutti e sei i precedenti simboli, un albero si staccherà dalle radici, e camminerà fino al centro del mondo. Lì pianterà se stesso, e da quel punto nascerà la nuova civiltà: la Civiltà dei Custodi.

Fu allora che apparvero i Bambini del Futuro. Non avevano ancora volto, ma avevano voce. E dissero:

“Costruite città che respirano, non che soffocano. Accendete energie che curano, non che bruciano. Disarmate le parole, prima delle mani. Custodite il tempo, non consumatelo. E se ascolterete il Tamburo, potrete trovare la strada per l’Ottavo Simbolo: la Rinascita.”

E così fu che, in mezzo a terremoti, guerre, bonus e schede elettorali, l’umanità comprese che la favola era vera, e la realtà era solo un sogno che doveva ancora svegliarsi.

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